RUBRICA Capitani coraggiosi

CELLOLE – Baby gang e devianza giovanile: ecco come intervenire. Parla l’esperta Cappabianca

CELLOLE (a cura della dottoressa Rossella Cappabianca) – Non è possibile schematizzare in un unico modello il fenomeno delle “gang giovanili”. Una possibile “costante” di tale fenomeno può essere individuata nelle varie forme di disuguaglianza sociale relativa allo status socio-economico di appartenenza e all’etnia che potrebbero generare i cosiddetti “invisibili” cioè giovani senza alcuna prospettiva futura, che non partecipano al sistema sociale e a quelle che sono le norme riconosciute e accettate

di questo sistema. Ma spesso sono i giovani da cui proprio non ce lo aspettiamo, sempre attenti, a mettere in atto comportamenti devianti se non addirittura a compiere atti criminali. Citando Jung “è l’ingresso nella solitudine del sé che diventa tormento”, in altre parole i membri appartenenti alle gang giovanili compensano quel senso di frustrazione derivante da uno stato di incertezza esistenziale attraverso l’aggressività e la rabbia. In assenza di punti di riferimento forti, le variabili strutturali (famiglia, scuola, associazioni religiose, ecc) falliscono ed ecco che merge la funzione sociale delle gang giovanili nell’assicurare

“protezione” ai suoi membri ed un “senso di appartenenza”. Ripercorrendo altri studi, qualcuno definisce l’avvicinamento di questi giovani a forme di devianza se non addirittura ad atteggiamenti criminali come un “disturbo comportamentale” che ha le sue radici ben radicate in quello che è il modello culturale e il contesto di appartenenza. A questo poi si aggiungono gli effetti da “imitazione” creati dall’impatto mediatico dato a tali fenomeni, anche se in questo caso il discorso è più complesso e non necessariamente causa di comportamenti devianti.

Ciò che si può fare da un punto di vista sociologico per abbattere il fenomeno è cercare di ridurre questo senso di perdizione del presente attraverso il recupero dei valori e delle tradizioni. La sola repressione non è sufficiente. Bisogna potenziare i processi che favoriscono l’integrazione sociale e culturale di questi ragazzi e abbattere le diverse forme di pregiudizio. In questo giocano

un ruolo centrale proprio la famiglia, la scuola e le associazioni sociali/religiose. Inoltre, a livello centrale come Stato, bisognerebbe spianare il muro del mero assistenzialismo e realizzare politiche di welfare che vadano a migliorare la condizione in cui famiglia, scuola, enti del terzo settore agiscono a tutela delle fasce fragili e a rischio di emarginazione”.