Cultura e Spettacolo

CULTURA & SPETTACOLO – Il buon vecchio Alberto Camerini: precursore dell’odierna era tecnologica?

CULTURA E SPETTACOLO (di Gabriele Bonelli) – Oggi, nella nostra rubrica degli interessi culturali, preme riportare più in superficie un cantautore ed artista che, troppo gettato nel dimenticatoio della civiltà di massa e dei consumi, negli ultimi anni ’70 e anni ’80 ha reso una precoce critica ironica e buffonesca di quelle che sarebbero state, di lì a poco, le nuove dinamiche informatiche, meccaniche e robotiche.  Prima di ricordare le importanti innovazioni portate alla luce dal suddetto, ricordiamoci di quanto oggi siano attuali alcune considerazioni che in passato erano solamente in embrione. Si tende spesso a rimembrare quanto è in voga, anche per comprendere la fonte di molti problemi all’ordine del giorno, come quelli pure di tipo psicologico e determinanti spesso, per chi se ne accorge ed è lucido, in certi tipi di espressioni come ad esempio ” vivi di apparenze ”. Ebbene, la società del 2000 ha la caratteristica chiaramente visibile dello sviluppo delle tecnologie e delle comunicazioni , le quali hanno reso il mondo più piccolo e vicino a noi grazie alla velocità ”live” di reperire informazioni.  I prodotti si configurano spesso e volentieri come merce e come visione, ma qual è davvero il punto fondamentale? A mio avviso, il concetto di spettacolo. Esso è quell’anello fondamentale che tende a plasmare le cose in un un’aura metafisica rendendo, i fruitori di esse, una sorta di tante immagini virtuali che comunicano fra di loro. Sembra quasi una condivisione eterea tra non-oggetti e non-persone.

Quest’immagine deformata, che spesso sostituisce le nostre fattezze reali e concrete, è veicolata attraverso l’esibizione del corpo, i messaggi, i media appunto, creando una sorta di narcisismo cronico. Non sarebbe male pensare che teniamo così tanto al nostro modo di essere, sennonché molti individui lo fanno per ostentazione o vuota apparenza. In un contesto così globalizzato e impregnato di cultura tecnologica, sembra pure quasi impossibile tirarsi fuori visto che anche le forme di protesta spesso adottano gli strumenti proprio delle nuove forme di contatto e finiscono quindi per adeguarsi alla regola e banalizzate. Si può tentare una strategia però, ossia ribaltare la questione, fare un miscuglio col nostro passato culturale e mettere a fuoco le contraddizioni diventando padroni consapevoli e non schiavi dell’era tecnica.

LA COMMISTIONE DI GENERI DI ALBERTO CAMERINI:

”Un artista dovrebbe essere sempre in grado di cogliere lo spirito del tempo, ma dovrebbe anche rischiare, per così dire, una previsione sul futuro, su dove lo spirito del tempo porterà la società e gli individui. In questo senso mi hanno colpito le parole non di un poeta ma di un cantante, Alberto Camerini, che oltre dieci anni fa parlava di una società in cui i giovani della “generazione elettronica” trascorrono ore davanti a computer collegati tra loro e usati per giocare, imparare e comunicare.” Queste le parole, a suo tempo, del poeta defunto, Vincenzo Mai, il quale fu uno dei primi ad intuire le novità apportate dal cantautore. Camerini nei suoi versi e canzoni avrà tenuto sicuramente a portata di mano il pensiero di Baudrilland, filosofo e sociologo francese, il quale sosteneva che nella modernizzazione trionfante, è stata cancellata ogni prospettiva di fuga. Allo stesso tempo però asseriva che forse solo la ”seduzione” può aprire uno spiraglio. Quasi a dire che l’amore, il sentimento, le emozioni, il sentirsi in quell’atmosfera platonica, sono ancora le uniche àncore di salvezza che godono di potere illimitato e sono lontane dal processo di razionalizzazione dato la loro natura improvvisa, sfuggente e incontrollabile.

Camerini nacque in Brasile e poi successivamente si trasferì presto in Italia in cui gradualmente formò il suo particolare personaggio. Inizialmente premeva più per quel genere di ” musica d’autore” alla Fabrizio De Andrè ma visto una grande competizione in questo tipo di ambito, avvertì l’esigenza di cambiare radicalmente il suo stile. Per farla breve, nella sua costituzione sono fondamentali: la scuola di mimo con Maurizio Nichetti, il tema del Carnevale, della Commedia dell’Arte e di Arlecchino in particolare, con annesse connessioni gastronomiche, un certo romanticismo intriso dell’odierna cultura elettronica e alle volte incomunicabile. Il genere da lui prediletto fu poi quello del rock, del pop e dello steampunk, ossia una composizione in cui in un paesaggio storico viene introdotta e proiettata una tecnologia anacronistica. Non a caso l’artista fu denominato l’ ” Arlecchino elettronico ” proprio per la sua peculiarità nel fare un pasticcio di epoche e per la convergenza di tematiche lontane e contrastanti. Potrebbe essere biasimato per la sua immagine molto scenografica e quindi di notevole apparenza. La verità è che lui non ha fatto mai nulla in modo incosciente e la copertina che ha sempre mostrato è stata ricca di arte e di ironia beffarda. Quindi non solo forma, ma soprattutto sostanza. Egli ha manifestato ogni volta un grande affetto per il proprio luogo d’origine ammirandolo come territorio incontaminato e povero, per cui primigenio e originale. Ha amato costantemente le tradizioni popolari dal sapore ancestrale e con predilezione per il barocco, frequentando anche la città di Venezia. Significative le sue canzoni come ” Alberto ” e ” Quando è carnevale ” in cui affronta rispettivamente la sua autobiografia e i suoi interessi. Dagli anni ottanta però, in modo radicale, punterà sul suo ” cyberclown ” cioè burattino e arlecchino con tanto di fili elettronici addosso al posto delle toppe colorate, facendosi portavoce delle future o immediate trasformazioni sociali per via dello sviluppo delle tecnologie ma anche puntando il dito, ogni tanto indirettamente, verso le storture del potere. In un monologo di una sua performance teatrale gli si sente dire:” Che fine faranno i burattini che si ribellano, che strappano i fili? Che fine fanno? Impareranno forse a pensare?”. Oppure:” Dovrei togliermi di dosso un po’ di questi cazzo di fili, ma ci vorranno due ore. Niente, sono i fili del potere, una volta che ci sei dentro non riesci più a uscirne”. Ma lui è un clown,

non uno scemo qualunque. I giullari di corte sono stati sempre individui dotati di notevole sagacia. Con Camerini lo spettacolo ha irradiato la realtà ma in un modo critico e intelligente. Canzoni come ” Rock’n’ roll robot ”, ” Tanz bambolina ”, ” Computer capriccio ”, ” maccheroni elettronici ” e tante altre, già dai titoli, evidenziano una commistione camaleontica e incredibile di settori e sfere diverse come appunto l’amore, il ristorante, il computer ecc. ma la bellezza sta nel non cadere nel ridicolo e anzi nell’esibire il tutto con tanto di esposizione enfatica, mischiando musica e teatro. Perché si, quello che più mi colpisce è la sua notevole gestualità durante le sue performance canore dal momento che danno quel tanto in più di coinvolgimento emotivo e passionale nei confronti delle tematiche affrontate. Lo trovo dolce e pungente allo stesso tempo.

Dopo la partecipazione al Festival di Sanremo nel 1984 con il singolo ” la bottega del caffè” , altra canzone fondamentale, suggestiva in onore di Carlo Goldoni, Camerini si è un po’ adombrato per la delusione dell’esito, probabilmente non compreso, ma ha continuato a svolgere le sue attività dando vita a concerti, collaborando con molte band e addirittura

ad incidere nuovi album. Ultimamente, 67enne, ha dichiarato di scrivere un libro, in ricordo proprio della sua memoria e dei suoi anni più fecondi. Ricordiamo un ultimo episodio per comprendere l’attualità di questo cantautore. Nell’ottobre dello scorso anno il giovane artista Riccardo Giacconi ha esposto il costume dell’Arlecchino Rock in un’opera di videoarte al Museo del Novecento di Milano. È stato vincitore di ArteVisione 2016, progetto Sky per promuovere giovani artisti, con il suo progetto ”Lo scherzo”  in cui ha rappresentato le movenze del Camerini eclettico e scherzoso.  Che dirvi allora: ” ROCK ‘N’ ROLL ROBOT!”

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